Estetica e condizione umana (1947)

«Europa Socialista», a. II, n. 11, Roma, 4 maggio 1947, p. 14.

Estetica e condizione umana

Dall’opera di Malraux era dichiarata tutt’altro che improponibile una proclamazione fra morale ed estetica di princípi, tanto lo scrittore appare in ogni sua pagina ansioso (anche se la sua ansia nella sua resa artistica sia da giudicarsi con molta perplessità) di calare una protesta, un richiamo di religione entro i termini concreti della condizione umana che spiegano la sua vocazione romanzesca. Anche apparivano, nella loro possibilità di pompa smorzata dalla esemplificazione storica a sua volta eccessiva, quei magnanimi slogans che tengono spesso il suo periodo in una moderna oratoria che ha i suoi limiti nella Bibbia, in qualche modulo dell’Ottocento renaniano ed in Hugo.

«Giustizia e libertà minacciata» può intitolarsi, per soddisfazione dell’«europeo ONU» Angioletti, il brano riportato sul n. 14 della «Fiera letteraria», e con questo preambolo si possono leggere senza una pretesa di precisa o totale utilizzazione le pagine di primizia offerte dai «Cahiers du Sud» (1° semestre 1947) e che appariranno presto nel Musée imaginaire (da Albert Skira) come parte della Psychologie de l’Art. Sono pagine tutte un po’ rutilanti di finezze psicologiche appena accennate e di riferimenti culturali sommari e segreti (ma non la segretezza raffinata e allusiva della critica ermetica) ad «epoche» di civiltà artistica disparate, e quasi barbaricamente accumulate, come a creare uno sfondo grandioso e appiattito.

Piú della poesia l’arte figurativa soccorre al disegno di Malraux, ai suoi nodi di intuizioni che si svolgono tumultuosamente e che nei richiami all’arte cinese o a Delacroix, alla Pietà Roncalli o al Portail royal de Chartres si arricchiscono, al di là del gusto decorativo di tanti saggisti europei, nell’impegno quasi fanatico, anche se poco riuscito, di afferrare sempre concrete prove che in quella prosa portino la loro presenza integrale, non la loro traduzione logica, e tanto piú movimentano il saggio, in quanto la ganga stilistica in cui affiorano ha uno scatto interno di violenza e di discorso rivolto alla coscienza spesso involuta e troppo densa di «conoscenza», di ogni sentimento-immagine, per dirla con Croce: una prosa che nel suo svolgersi un po’ di pasta aggrumata ha continui rilievi dovuti ad un impegno piú volitivo che ispirato, anche se l’accento della serietà religiosa non vi manca mai. La serietà di chi non vuol rendersi conto ma vuol trasformare cognizione in coscienza, cioè vuol darne e sentirne la destinazione piú pregnante in relazione alla destinazione piú larga della vita degli uomini.

Arte come protesta, arte contro cultura solidificata come passato. Ecco il centro di queste pagine che, nel loro procedimento di bande piuttosto disordinate, tendono ad un assalto di ogni cultura ornamentale, di ogni arte distesa in cultura aderente ad un ordine solidificato. Ed hanno perciò il loro riferimento storico piú preciso alla violenta funzione esercitata nelle polemiche novecentiste dall’arte negra, opposta ad ogni tentativo di creare, come tradizionalmente da Masaccio a Manet, l’illusione, e da lí scendono alla naturale autocritica dell’Ottocento e addirittura piú in là, come è inevitabile, alle origini del romanticismo quando, secondo le parole di Malraux, «l’art change de nature. D’ornement de civilisation qu’il avait été, il devient ce que nous appellons l’art», e sulla base di una comune origine «peintres, poètes et musiciens elaborent ensemble un univers commun oú les relations des choses entre elles ne sont pas celles de l’univers des autres. Aussi différentes que soient leurs recherches, elles sont scellées par un même refus. Dans leur société fermée, l’art est la raison d’être de l’homme, à la fois justification et moyen d’expression d’une accusation permanente du monde».

Ricercando nelle forme cosiddette primitive, nelle espressioni dei cosiddetti «fous et enfants» un’unica spinta a mettere in crisi la civiltà entro cui nascono («L’accusation de la condition sociale mène, en politique, à la destruction du système sur lequel celui-ci se fonde; celle de la condition humaine, en art, à la destruction des formes qui l’acceptent»), Malraux precisa nel secolo borghese l’esplosione della coscienza affiorata con il romanticismo: esplosione di cui darebbe prova esattamente la mancanza di uno stile borghese, un’arte che si ponga come ornamento della classe dominante. «La bourgeoisie est la première puissance qui n’ait trouvé ses portraitistes, et qui ait trouvé très vite ses caricaturistes…». Cosicché al fermento nuovo di una società che si costituisce fuori degli schemi tradizionali si rannoda come messaggio e avanguardia l’arte «antiumanista» che non è piú «parure» di «civilisation», ed assume la parte qualificata di «rottura» come gli artisti diventano – e la parola non è certo nostra – profeti, eroi di libertà. Infatti, al di là dei possibili riferimenti ottocenteschi (l’alfieriano «che nostra vera madre è libertate»), al di là del tono titanico romantico in cui facilmente si può appesantire e inturgidire la richiesta di Malraux (e forse è proprio in questo margine di eloquenza piú impura che l’attento lettore può spiegarsi l’origine di certi pericoli di rivoluzione piú o meno «gaulliste», o almeno troppo «occidentale»), non si tratta di una grossolana ripresa di note tesi valide solo storicamente, e l’attacco fra mondo sociale e purezza artistica è dato sí dal termine «condition humaine», ma con iniziativa autonoma dell’arte che mette in stato d’accusa una cultura in cui si sente minacciata almeno di subordinazione.

E il carattere eteronomo dell’arte si può difficilmente fissare dove invece è agevole notare lo stimolo innegabile che viene dalle pagine di Malraux non a precise posizioni di teoria estetica, ma ad arricchimento della poetica contemporanea nella sua coscienza di vitalità specifica e di simbolo del destino degli uomini moderni. Mentre piú generalmente nello stile animoso e granuloso che vibra ai bagliori di testimonianze perentorie e massicce (Michelangelo, Rembrandt), che si appoggia a nuovi canoni di scoperte di geni molto simili a quelle dei testi preromantici (Piero della Francesca, il Greco, Georges de La Tour, Vermeer), le indicazioni assai discutibili e non sempre a fuoco di ordine critico e storico valgono soprattutto a muovere nella discussione estetica i ricchi fermenti delle posizioni tipo «condizione umana» contro ogni ritagliata Arcadia basata su detriti di edonismo calligrafico.

Ogni seria costruzione di civiltà artistica e quindi di alta civiltà della forma ha sempre accompagnamento di proclamazioni tanto piú ricche quanto piú esorbitano dal cerchio perfetto di una teoria esteticamente autorizzata.